L’avvocato è uomo di parte, il mediatore è uomo di pace [feather_share]
“L’avvocato è uomo di parte, il mediatore è uomo di pace”.
Con questa frase contenuta nell’iter motivazionale della sentenza in oggetto, il Tar Lazio si è pronunciato sulla legittimità dell’articolo 55 bis del codice deontologico forense, introdotto a seguito delle modifiche deliberate dal Consiglio Nazionale Forense nella seduta amministrativa del 15 luglio 2011.
In particolare il Tribunale Amministrativo citato ha pronunciato, rigettando le altre numerose censure proposte, l’annullamento del primo comma dell’articolo 55 bis , in particolare nella parte in cui prevede che l’avvocato che svolge la funzione di mediatore, deve rispettare gli obblighi dettati dalla normativa in materia e la previsione del regolamento dell’organismo di mediazione nei limiti in cui dette previsioni non contrastino con quelle del Codice Deontologico.
In buona sostanza, nel ricorso proposto da numerosi avvocati – mediatori , tra i vari motivi di impugnazione, si sottolineava come tale previsione del primo comma dell’articolo 55 bis , si ponesse in contrasto con la normativa di fonte primaria in particolare l’articolo 60 della legge nr. 69 del 2009 e del d.lgs. nr. 28 del 2010. Difatti tale norma interpretata letteralmente imponeva all’avvocato – mediatore nel caso in cui ravvisava un contrasto tra la norma primaria, disciplinante l’attività di mediazione, e il proprio codice deontologico, di disapplicare la prima a favore della seconda, violando così un precetto normativo per privilegiare una norma “regolamentare” della propria categoria.
I Giudici hanno accolto in pieno tale motivo di ricorso affermando tra gli altri, principi molto importanti, sia in relazione alla collocazione nell’ambito delle fonti giuridiche del codice deontologico forense, sia in relazione alla peculiarità dell’attività di mediazione rispetto a quella di avvocato.
In primo luogo si è affermata la immediata impugnabilità delle norme del codice deontologico forense, indipendentemente da una loro violazione o meno (e dunque contestazione da parte degli Organi di disciplina al professionista ricorrente), visto che le medesime hanno portata immediatamente lesiva , “non solo perché la sanzione è conseguenza certa e ineludibile dell’inosservanza di dette regole , ma soprattutto perché l’avvocato , che è rispettoso del codice deontologico e non intende violarlo , subisce immediatamente le limitazioni imposte dal Cnf “.
In secondo luogo il Tribunale Amministrativo si sofferma a definire e ad analizzare le differenze tra la figura del mediatore e quella dell’avvocato. Si dice, infatti, come sia di palese evidenza il carattere di imparzialità che deve connotare la figura del mediatore e, quindi, la differenza che intercorre tra questa attività e quella svolta dall’avvocato. “Mentre quest’ultimo è il “professionista” che tutela gli interessi esclusivi della parte che lo ha nominato, il mediatore aiuta due parti a raggiungere un accordo amichevole o conciliativo; è neutrale non curando , a contrario dell’avvocato , gli interessi dell’una o dell’altra.”
Quando queste due figure si fondono in un unico professionista sorgono non pochi problemi applicativi, di coordinamento tra le due discipline: quella forense e quella di mediatore. Pur tuttavia le prime regole applicabili sono solo quelle relative alla normativa in materia di mediazione. Difatti “il codice deontologico non ha la forza di prevalere sulle norme primarie con lo stesso contrastanti”. Le norme in esso contenute hanno semplicemente natura di fonte integrativa dei precetti normativi .
Per cui alla luce di tali principio il T.A.R. Lazio ha concluso dichiarando l’illegittimità del primo comma dell’articolo 55 bis nella parte in cui impone all’avvocato nella sua attività di mediatore di dare prevalenza alla norme del proprio codice deontologico , rispetto alle norme regolanti l’attività di mediazione , compreso il regolamento dell’Organismo di Mediazione, da cui si è ricevuto l’incarico.
Del resto , giova precisare, come il regolamento dell’Organismo di Mediazione, riceva ab origine una legittimazione dall’autorizzazione fornita dal Ministero della Giustizia, all’atto dell’iscrizione dell’Organismo medesimo nell’elenco da esso tenuto, con numero progressivo autorizzativo.
In cio’ il regolamento, dunque, deve essere rispettato dal mediatore, al di là di tutto, perché contiene in sé i precetti normativi imposti dalle norme vigenti in tema di mediazione, essendo prevalente non in quanto tale, ma in quanto espressione della legislazione più volte citata.
Per cui il mediatore, anche quando è avvocato, non è figura spuria , ma autonoma, con proprie regole comportamentali, già individuate nella norma genetica, che non ammette deroghe o sue elusioni da parte di regolamenti di disciplina degli Ordini Professionali.
La pronuncia in commento, dunque, non è solo importante per il principio in essa affermato , ma anche perché inizia a contribuire a quella stabilizzazione e interpretazione di una nuova figura professionale (il mediatore) che mai come oggi necessita di sostegno e riconoscimento della propria autonomia e di proprie regole di condotta.
(Altalex, 13 novembre 2012. Nota di Andrea Ceccobelli.)
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